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Ecco la commissione pausa caffe’ dell’I-House: da sinistra Teresa Magallón, Joy Iwasa, Laurie Ferris, Laurel Anderson-Malinovsky, Breidi Truscott-Roberts, Liliana Cardile
Passo circa otto ore al giorno al lavoro, dal lunedi al venerdi. Dato il tipo di lavoro che faccio, vedo quasi tutti i miei colleghi quotidianamente. Sono la mia squadra.
Non fraintendetemi, amici europei. Lo so cosa state pensando. Posso rassicurarvi: dopo quasi sei anni negli Stati Uniti non ho perso il mio culturalmente innato senso critico nei confronti della retorica americana dell‘amazing, del yay e del team building. Sono ancora una di voi, pero’ in un certo senso un po’ non lo sono piu’.
In questo paese, che diventa giorno dopo giorno il mio in modi di cui non sempre sono cosciente, il cosiddetto team building e’ una scienza. Ci sono corsi, eventi, workshop organizzati per creare quel senso di appartenenza a un gruppo. In Europa funziona diversamente e di solito lo sforzo di mettere insieme una squadra e farla funzionare e’ affidato al talento e alle capacita’ di un leader. Io, nel potere della squadra, ci ho sempre creduto ma qui in America ho imparato la scienza di creare e gestire una squadra. Insomma, amici italiani, ho una notizia per voi: puo’ funzionare veramente!
C’e’ qualcosa di fantastico nell’essere una squadra e un che di eroico nel cercare di costruire un gruppo ben affiatato: si va incontro a frustrazioni e delusioni ma anche a molte gioie.
Un gruppo di persone che lavora qui all’International House ha bisogno di sentirsi ogni giorno una squadra, di aiutarsi, aiutare gli studenti e lavorare insieme.
Non vuol dire far diventare i colleghi i tuoi migliori amici ma trovare un modo civile, efficace e magari pure divertente di stare insieme qui al lavoro, giorno dopo giorno. Un modo di “tirare insieme la carretta” insomma. E la sfida e’ farlo senza perdere di vista gli obiettivi importanti che tutti qui abbiamo: aiutare gli studenti nella loro esperienza a Berkeley e dargli tutte le opportunita’ di creare dei bei ricordi della loro permanenza e di costruirsi degli strumenti di comunicazione interculturale.
Cosi, quando alcuni mesi fa, abbiamo cominciato a organizzare piccoli eventi interni per lo staff dell’International House (un progetto parte di uno piu’ grande gestito dal campus di Berkeley), sono stata felice di offrirmi volontaria, curiosa di vedere come andava a finire.
Lunedi’ scorso ho organizzato per i miei colleghi una pausa caffe’ all’italiana portandomi da casa la macchina da bar per gli espressi e i cappuccini e acquistando un po’ di paste da un bar italiano della zona. Mi ha fatto un piacere enorme e mi ha fatto pensare ancora una volta all’importanza di essere una squadra sul posto di lavoro.
“Tanti colleghi – dice Ryan Jones, direttore delle Ammissioni all’International House e promotore di questo sforzo di team-building in collaborazione con il Progetto Catalyst di UC Berkeley – passano al lavoro piu’ di 40 ore a settimana ed e’ importante che questo sia un posto dove sia piacevole stare”.
Mi e’ sempre piaciuto pensare che essere ottimisti e positivi sia contagioso.
Creare piu’ occasioni per vedere i propri colleghi come persone con famiglie, amori, figli, scuole dei figli con cui avere a che fare, animali, parenti malati, problemi economici, gioie e dolori, fa la differenza sul posto di lavoro. Specialmente qui all’I-House dove essere solidali, apprendere e comprendere sono le nostre priorita’.
Questo non e’ il solito lavoro in campus e i colleghi dell’I-House non sono i soliti colleghi. Vogliamo e dobbiamo essere la squadra dell’I-House. E a me piace credere che grazie a queste pause caffe’ con i colleghi lo siamo diventati un po’ di piu’.



Very cute 🙂